Il workshop di Pedagogías Invisibles che ha coinvolto gli studenti di comunicazione visiva (docenti: Giorgio Camuffo, Jonathan Pierini, Emanuela De Cecco) è stato un’esperienza concentrata sullo svelamento dei discorsi e della performatività impliciti negli spazi che abitiamo – in specie quelli della educazione – e delle possibilità di modificare tali discorsi per stimolare forme più consapevoli di apprendimento e relazione.
Pedagogías Invisibles è un collettivo nato nel 2009 e che oggi conta diciassette persone che lavorano all’intersezione fra educazione e arte, ovvero a partire dalla convinzione – come hanno spiegato Andrea De Pascual e David Lanau – che arte e educazione coincidano, o possano coincidere.
Preoccupazione e ottimismo alimentano i numerosi progetti del collettivo: preoccupazione per la condizione attuale del sistema e degli spazi educativi, ancora fondati su una impostazione gerarchica e unidirezionale della trasmissione di conoscenze; ottimismo perché è pur sempre possibile produrre cambiamenti nell’educazione, specialmente agendo sulla ri-significazione dell’architettura (fisica e mentale) degli spazi, dei discorsi e delle relazioni che essi incorporano. Rivelare e dissolvere gerarchie e strutture di potere, superare le partizioni fra discipline e fra gruppi di età, avanzare domande, aprirsi all’ambiguità e stabilire connessioni, utilizzare il corpo, lavorare sullo spazio e sui discorsi e le performatività per l’apprendimento che lo spazio contiene, confondere i confini fra spazi pubblici e privati, educare al pensiero visivo critico: sono queste alcune strategie che il collettivo si propone di sperimentare con tali finalità.
Approcci e strategie che sono stati esplorati anche durante il workshop, quando gli studenti, attraverso una serie di attività, sono stati coinvolti nella ricerca, analisi e trasformazione dello spazio della scuola, in specie delle strutture, norme, relazioni che esso incorpora.
Analizzare e rendere visibile il “curriculum nascosto” dello spazio è stato uno dei primi esercizi proposti agli studenti, che hanno individuato “spazi grigi” all’interno dell’università e ne hanno evidenziato – con l’utilizzo di nastro adesivo colorato – strutture e norme implicite.
Successivamente è stata affrontata la questione della violenza simbolica incorporata in spazi e oggetti, con varie attività fra spazi esterni e interni dell’ateneo – fra queste, l’allestimento di una composizione di sedie simile a quella di una aula tradizionale e una performance collettiva che ha “costretto” gli studenti a negoziare con il corpo la relazione con gli altri e lo spazio.
Alla fine della prima giornata gli studenti sono stati invitati a individuare un luogo all’interno della università, esaminare le performatività in esso incorporate, e progettarne la trasformazione e risignificazione utilizzando solo tessuti e teli bianchi e di tulle.
L’attività del secondo giorno è stata incentrata sul disegno – o meglio sull’atto e il gesto del disegnare – con un laboratorio ideato da Andrea e David insieme a Giorgio e Jonathan. Stabilite alcune categorie (tempo, spazio, ecc.) e dieci condizioni (per es. “Come sarebbe [la categoria]”) sono state proposte alcune regole per disegnare.
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