Il design è ovunque – corso e incontro con Catherine Ritman Smith – Design Museum, Londra
07/07/2014
“Design is everywhere”: è questo il titolo del corso organizzato lo scorso 9 giugno dal Design Museum di Londra, al quale abbiamo partecipato. Rivolto principalmente a insegnanti di scuole primarie britanniche, il corso mirava a sostenerli nel quadro delle nuove previsioni del curriculum nazionale per l’insegnamento del design, e naturalmente a presentare le opportunità offerte in tal senso dal museo stesso. Al centro del corso, e più in generale delle sue attività educative (o di apprendimento), il Design Museum ha posto la duplice considerazione che, appunto, “il design è ovunque”, che “siamo circondati da cose che sono state progettate (designed) e realizzate (made) – dagli abiti che indossiamo agli smart phone che ci aiutano a organizzare le nostre vite”, e che il “design thinking” è un approccio utile per comprendere in modi nuovi il mondo che abitiamo: “Competenze come la comunicazione, il problem solving e la considerazione delle necessità degli altri sono centrali nel lavoro dei designer. Sono anche abilità che possono aiutare i bambini a esplorare le loro idee”. (Per una analisi delle basi concettuali che sorreggono l’approccio all’apprendimento del Design Museum di Londra, come designerly learning, si veda il testo di Helen Charman, Head of Learning, “Designerly Learning: Workshops for schools at the Design Museum”, Design and Technology Education: an International Journal, 15/3, 2010) In questo senso, come ci ha spiegato in una conversazione dopo il corso Catherine Ritman Smith, Deputy Head of Learning, i programmi educativi del Design Museum sono orientati ad avvicinare le persone – dai bambini agli studenti universitari, agli insegnanti stessi – a capire come i designer pensano e lavorano, a stimolare un atteggiamento critico e attivo verso ciò che ci circonda e a superare la condizione di consumatori passivi. In particolare nell’ottica del Design Museum si tratta di sollecitare con varie attività un atteggiamento indagatorio (inquiry-based), l’abitudine a interrogarsi e a porre domande rispetto agli oggetti e a quanto di progettato incontriamo quotidianamente, a porre gli oggetti in una nuova luce: perché un prodotto ha una certa forma, o è fatto con un certo materiale? funziona bene? è un buon prodotto? potrebbe essere migliorato? quale processo sta dietro la creazione di un oggetto? Sono questi, per esempio, alcuni degli interrogativi attorno ai quali è stato costruito e aggiornato il sito web “Discover Design”, una risorsa che gli insegnanti e gli studenti possono usare autonomamente, prima o dopo le visite al Design Museum. “Certamente ci si può porre queste domande anche in un negozio, ma in un museo è diverso, perché qui non sei tanto un consumatore, ma sei portato ad assumere un atteggiamento più critico”, ci ha spiegato Catherine, sottolineando inoltre che la attitudine stessa del museo è cambiata nel tempo, puntando a facilitare l’apprendimento e i processi di apprendimento delle persone piuttosto che a impartire una determinata conoscenza.
Le attività proposte dal Design Museum sono dunque incentrate su due tempi principali, uno di osservazione e valutazione delle idee altrui o di progetti esistenti, e l’altro di esplorazione delle proprie idee, in modo da dare spazio alla creatività delle persone: “Un aspetto interessante del nostro approccio pedagogico, in un’ottica costruttivista, è che si parte veramente dalla persona. Cerchiamo di dare spazio a quello che ciascun individuo può portare: stimoliamo le persone a porre domande e le invitiamo a fare un ‘viaggio’ con le loro idee. Si tratta di un processo creativo, certamente, perché è generativo, permette di pensare a modalità nuove per realizzare qualcosa, per produrre qualcosa di innovativo – o che magari è nuovo all’interno di una classe o nella esperienza individuale di chi apprende – e di applicare la conoscenza sviluppata a una situazione, a un problema, a un brief. Tutti noi abbiamo il nostro bagaglio di conoscenze ed esperienze, quindi la creatività può riguardare anche una esperienza personale, non si tratta di creatività in termini assoluti. ” Un’altra componente importante del processo del design su cui il Design Museum insiste è l’iterazione, ovvero la possibilità di riflettere e valutare, e quindi ritornare e modificare un progetto. Tuttavia, come osserva Catherine, “è molto difficile lavorare sull’idea dell’iterazione entro i tempi ristretti di un laboratorio. Un’altra difficoltà in questo senso viene dai modi in cui i bambini apprendono in senso più ampio. Per esempio, quando studiano matematica a scuola sono abituati a sapere che esiste una risposta giusta e una sbagliata. Noi invece chiediamo loro di trovare le loro risposte. Sembra che i bambini si trovino in difficoltà di fronte ad attività in cui non c’è la certezza del vero/falso, giusto/sbagliato. A volte sembrano insoddisfatti quando, discutendo i loro progetti o le loro proposte, diciamo ‘è una possibilità’ oppure cerchiamo di stimolarli a esplorare ulteriormente le loro idee, a non fermarsi alla prima risposta, a ritornarci sopra…” È proprio per cercare di andare oltre i tempi ristretti dei singoli laboratori, che il Design Museum da qualche anno organizza anche progetti di più lungo termine, come Design Ventura, che propone a studenti di 9-11 anni di progettare un nuovo prodotto per il negozio del Design Museum. Gli studenti devono rispondere al brief proposto, e lungo tutto il processo vengono seguiti dal team del museo e da una serie di consulenti, sia attraverso incontri sia attraverso risorse e feedback forniti attraverso il sito del progetto. Se l’esplorazione del design process e del design thinking è il cuore delle attività proposte dal Design Museum, il dipartimento Learning mira tuttavia anche a dare l’opportunità di realizzare (make) le proprie idee. Si tratta di una possibilità che attualmente viene offerta soprattutto a studenti delle scuole superiori e universitari, che possono sperimentare il lavoro del designer e progettare in maniera collaborativa all’interno dei laboratori organizzati nell’ambiente del design studio del Design Museum. La direzione del making è in effetti limitata attualmente anche per motivi di spazio, ma il museo – ci spiega Catherine – intende implementarla nei prossimi anni, quando con il trasferimento nella nuova sede del Commonwealth Institute, dal 2015, il dipartimento del Learning avrà molto più spazio a disposizione per il making, anche con la presenza di alcune stampanti 3D. Infine, a proposito di “apprendimento creativo”, Catherine ha confermato che nel caso del Design Museum la creatività ha certamente un ruolo centrale, ma con una attenzione specifica per i processi di innovazione: “Il processo del design ha molto a che fare con la creatività, è un po’ come il compositore di musica: si tratta di avere una visione di qualcosa che si vuole raggiungere o di una sensazione che si vuole generare, e di avere gli strumenti e il linguaggio per fare questo, secondo un percorso iterativo. Dunque la creatività per noi è importante, ma qualunque cosa facciamo si appoggia a un approccio di design (designerly approach). La creatività ha varie caratteristiche che si sposano con quelle del design, ma per noi è importante che abbia a che fare con l’innovazione, che di fatto non si riscontra sempre e in tutti i prodotti”. Considerazioni che riportano anche alla distinzione fra arte e design, che secondo Catherine risiede nel fatto che, sebbene arte e design possano a volte intersecarsi, “il design esiste per essere usato, deve avere una funzione, deve avere un utente specifico di riferimento”. In effetti sono anche queste alcune delle indicazioni che sono state fornite agli insegnanti durante il corso al quale abbiamo partecipato. Durante la mattinata, in particolare, un consulente della D&T Association, Gareth Pimpley, nell’illustrare le novità e specificità del national curriculum 2014, ha spiegato che ci sono sei punti chiave che devono essere presenti per connotare una attività educativa come pertinente rispetto al tema design e tecnologia: l’utente (ogni prodotto che si propone ai bambini di realizzare deve avere un user o gruppo in mente, potrebbe essere anche la nonna o la sorella); lo scopo (il design deve svolgere un compito); la funzionalità (deve avere una funzione, all’interno di un certo scopo); l’innovazione (bisogna invitare i bambini a essere innovativi e avere un pensiero originale, non necessariamente in termini assoluti ma anche rispetto ad altri bambini in classe, o comunque rispetto alla loro personale esperienza precedente); decisioni progettuali (portare i bambini a svolgere attività nelle quali devono prendere decisioni sui materiali, su come funzionerà il prodotto, sulla forma, dimensione, sull’utente, ecc.); autenticità (pensare prodotti che siano reali, che si possano usare, che non siano solo gadget o riproduzioni). Dopo la spiegazione dei principi e obiettivi del curriculum nazionale, i partecipanti al corso sono stati coinvolti direttamente, lavorando in gruppi, in alcune attività che sono servite a esemplificare l’approccio suggerito dal Design Museum e le diverse risorse educative che mette a disposizione degli insegnanti: durante l’attività “Design is about asking questions” siamo stati invitati a esplorare e interrogarci su alcuni oggetti delle collezioni, la cui funzione non era immediatamente evidente; con “Design is about solving problems” ci è stato invece chiesto di discutere e prendere appunti su alcuni progetti presenti nella mostra in corso Designs of the Year 2014, e di rispondere in particolare ad alcuni quesiti riguardanti la qualità di questi progetti come soluzioni intese a risolvere determinati problemi. Durante la seconda parte del corso, nel pomeriggio, abbiamo inoltre assistito a una presentazione del lavoro del team di type designers Entente, e in particolare del progetto di una famiglia di font child friendly realizzata in collaborazione con la scuola elementare Castledown Primary School. |