Dalla educazione alla mediazione: incontro con Brita Köhler, Museion, Bolzano
02/06/2014
“Molti aspetti che sono importanti nel mio lavoro di mediatore li ho visti realizzati nelle attività ideate dagli studenti di design per il progetto Come On Kids!. Credo che gli studenti hanno dimostrato di avere osservato bene il processo e il comportamento dei bambini, mettendo al centro il processo, pur senza trascurare i risultati. Facendo e ri-facendo, spinto dalla curiosità, e non da un obbligo, verso l’attività proposta, il bambino impara facendo. A Come On Kids! ho visto questa forte attenzione verso il processo, il fare e il poter ripetere le esperienze proposte.” Così Brita Köhler – dal 2006 educatrice/mediatrice e dal 2013 responsabile del dipartimento Servizio al Pubblico / Progetti Educativi di Museion, il museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano, fra i partner della nostra ricerca – guarda alle attività di Come On Kids! che hanno ispirato il nostro progetto di ricerca. Nel 2012-2013 Brita ha collaborato allo sviluppo del laboratorio Come On Kids!, incontrando gli studenti del corso (si veda anche il sito), osservandone il lavoro e partecipando infine alla edizione on tour del festival. L’abbiamo incontrata nuovamente (il 6 maggio), per proseguire il dialogo avviato allora, per continuare a riflettere su quale può essere il contributo del design all’apprendimento creativo nel contesto museale. Al Museion il termine “mediazione” e “mediatore” sono centrali, e preferiti a “educazione” e “didattica”, troppo legati a una visione attardata. Come Brita ci spiega: “Da una parte c’è l’arte, dall’altra parte c’è il pubblico o meglio la società, con le sue realtà individuali. Il mediatore non sta propriamente da una parte né dall’altra; semmai, crea il ponte, il collegamento, il dialogo tra questi versanti. Certamente la mediazione può essere intesa in vari modi: mediazione può essere per esempio la visita guidata, e alcune persone si aspettano questo, si aspettano di ‘imparare’ qualcosa sugli artisti e sulle loro motivazioni, di ricevere informazioni sulle opere. Al Museion, pur offrendo anche le visite guidate, cerchiamo però di lavorare in un’altra direzione: invitare le persone a entrare in una esperienza, situazione o percorso, che dà degli strumenti per attivare una riflessione. In questo senso noi non ‘spieghiamo’ nulla, propriamente, ma, attraverso un percorso, diamo al visitatore lo strumento per attivarsi, in modo individuale. In qualche modo per noi l’arte è un punto di partenza, è come un pulsante che può consentire di aprire una porta interiore. Questa attivazione, poi, può sollecitare in ciascuno una esigenza di esprimersi che non necessariamente può essere soddisfatta solo verbalmente, a parole; per questo nelle nostre attività noi proponiamo materiali e modi diversi per comunicare”. Quella del mediatore, nelle parole di Brita, è una attività delicata, con un alto potenziale sociale: “Noi accompagniamo le persone in un processo che è volto ad aprire, sollevare domande, mettere in dubbio la norma – che è quel che l’arte fa di solito, e di cui noi ci ‘serviamo’, per così dire. Attraverso questa esperienza che invita all’interazione, le persone, che siano bambini o adulti o anziani, possono arrivare ad analizzare o riconsiderare la loro relazione con le norme, con lo spazio, con la realtà, con temi tabù, con temi che sembrano banali ma non lo sono, e con i loro valori. Si tratta di stimolare una certa sensibilità o percezione che ha un significativo valore in termini di tolleranza. Mi piace pensare, per esempio, che i bambini che oggi vengono da noi, possano crescere e diventare adulti avendo acquisito una attitudine aperta e tollerante; che di fronte all’arte, ma anche ad altre manifestazioni inattese o diverse, non si ritraggano subito affermando ‘non lo capisco, non mi dice niente, non mi piace, punto!’. Che siano invece persone capaci di tentare un secondo sguardo e quanto meno di accettare che qualcosa, che pure può non piacere, può esistere.” In questo senso, al cuore delle pratiche di mediazione nel museo sono il “processo” e l’“esperienza” individuale, più che un certo risultato: “Non si tratta di impartire o imporre una certa lettura o interpretazione dell’arte o di un certo tema; anzi, il mediatore deve imparare a non canalizzare l’esperienza altrui, a tenersi da parte, in qualche modo. Come mediatori discutiamo molto sui metodi e gli strumenti e le fasi della attività, ma non abbiamo in mente un risultato oggettivo. Ragioniamo e sperimentiamo le fasi e i metodi, la struttura dell’attività, i materiali necessari, i tempi, e naturalmente i temi, per collegarci ai temi e programmi del museo che sono in continuo cambiamento – ogni tre mesi progettiamo nuove attività. Ma, nel definire l’attività, non prefiguriamo invece il risultato. Quel che viene fuori per ogni individuo è incerto. Inoltre, naturalmente, anche ogni mediatore mette in campo la propria sensibilità, la propria capacità di empatia con le persone”. E, rispettando le dovute specificità e competenze dei diversi ambiti, questo tipo di approccio alla mediazione museale “può essere sviluppato a partire da tematiche diverse, non solo dell’arte, ma anche per esempio della musica, della letteratura, del design…” Possono il design e i designer contribuire alle pratiche della mediazione (non solo dell’arte)? Il loro contributo è solo strumentale o possono aprirsi filoni per integrare competenze diverse? In che modo i metodi e le competenze del design possono collegarsi alle teorie e pratiche della mediazione, o trarne stimolo? Possono tali metodi e competenze trovare spazio in una pratica che tende ad “aprire” piuttosto che a “chiudere”, a “interrogare” piuttosto che a “risolvere”? Ovvero come intendere il design in questa ottica? Questi e altri quesiti sono ora sul nostro tavolo… |